
Il contributo della Sentenza di Cassazione n. 28230 del 12 dicembre 2013
Il nostro ordinamento giuridico con la legge sull’adozione internazionali 184/83 modificata dalla legge 149/2001 e le normative sovranazionali tutelano il diritto del minore ad avere una famiglia, ad essere cresciuto, curato e seguito nelle sue fasi di sviluppo fisico e psicologico all’interno di un ambiente idoneo alle sue esigenze ed in grado di tutelare i suoi interessi. Tutto ciò dovrebbe avvenire all’interno della famiglia d’origine, ma spesso ciò non accade perché vi possono essere una serie di motivazioni (inidoneità dei genitori o bambini rimasti orfani) per cui la legge riconosce il diritto del minore a vivere, essere educato e ricevere le cure necessarie, in una famiglia differente rispetto a quella d’origine. A tale scopo il sistema di welfare del nostro ordinamento contempla gli istituti dell’adozione e quello dell’affidamento.
Mentre nell’ istituto dell’affidamento il minore viene sottoposto solo temporaneamente alle cure di un’altra famiglia (perché vi sono delle difficoltà momentanee all’interno del nucleo d’origine che possono incidere negativamente sulla sua crescita), invece con l’adozione si rilevano difficoltà insanabili nel gruppo familiare di origine e un bambino viene dichiarato dal Tribunale per i Minorenni “in stato di abbandono” e, poi, “in stato di adottabilità”. Successivamente a seguito di un complesso iter di valutazione il minore entrerà a far parte di una nuova famiglia, con conseguente cambiamento del suo stato giuridico, divenendo figlio della coppia che lo adotta a tutti gli effetti recidendo il rapporto con la sua famiglia di origine tranne in alcuni casi detti di adozione mite ed oggi in fase di sperimentazione.
Il Tribunale per i minorenni di residenza del minore può dichiarare lo stato di adottabilità in presenza di inadeguatezza dei mezzi educativi e affettivi offerti al minore, per il suo normale sviluppo psico-fisico.
Caso di particolare interesse riguarda anche la dichiarazione di adottabilità del minore nel caso di genitori con deficit cognitivo grave caso più volte disquisito anche in giurisprudenza (vedi quanto emerso sentenza di Cassazione n. 28230 del 18 dicembre 2013). Una riflessione questa, concernente questioni di diritto e di etica, che merita un approfondimento. Perché se è vero che nel nostro ordinamento giuridico vi è una sostanziale differenza tra la disciplina dell’adozione, con cui il legame del bambino con la famiglia d’origine si interrompe definitivamente, e quella dell’affidamento, che invece contempla un’interruzione temporanea di tale rapporto, in un contesto così delicato, nel quale va tutelato in primo luogo l’interesse del minore ad un corretto ed equilibrato sviluppo psico-fisico, merita altrettanta attenzione anche la delicata questione del diritto all’esercizio del ruolo genitoriale di un soggetto affetto da disabilità. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha correttamente osservato che “non è in contestazione il diritto del disabile alla maternità e l’obbligo dello Stato di sopperire, nei limiti delle possibilità concrete, a tale disabilità, ma occorre valutare in concreto l’interesse del minore ad essere cresciuto dalla madre naturale, in relazione alle sue specifiche capacità genitoriali, pur con l’adozione dei supporti adeguati e possibili”.
Dunque, senza alcuna violazione del diritto all’esercizio della responsabilità genitoriale, la valutazione preliminare al giudizio di adottabilità dovrà tenere conto, in via primaria, delle esigenze del minore.
In questo contesto, il bambino viene dichiarato adottabile non certo in ragione della disabilità dei genitori, ma perché ne viene accertato lo stato di abbandono e perché, nonostante il sostegno offerto dai Servizi Sociali, viene chiaramente indicato che l’unico sostegno necessario ed utile risulta essere quello sostitutivo.
Precisa la Corte: “una mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore, in mancanza di concreti riscontri, non è idonea al superamento della situazione di abbandono”. Questo perché “Sussiste la situazione di abbandono qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato non in astratto ma in concreto, cioè in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità”.
L’idoneità del genitore a prendersi cura del minore deve, pertanto, essere valutata concretamente, a seconda del caso specifico, e il giudice deve motivare la decisione di affidare il bambino ai servizi sociali.
La Suprema Corte, nel contemperare i due interessi contrapposti, (da una parte quello del genitore a mantenere la responsabilità genitoriale sul figlio e dall’altra quello del figlio ad una crescita equilibrata), esulando dal caso ogni qualsivoglia valutazione di natura esclusivamente etica, ha fatto prevalere il secondo.
Area legale – Logos Famiglia e Minori
Studio Legale Roberti
Writer: Dr.ssa Martina Buffone (paralegal)