Introduzione
Anche se psicologia e realtà virtuale sembrano collocarsi agli antipodi, in realtà esse possono essere applicate insieme per aiutare l’individuo a confrontarsi con le situazioni temute in un ambiente sicuro, strutturato e controllato dal quale partire per esplorare, provare sentimenti, immaginare, rivivere sensazioni e pensieri che psicologicamente lo destabilizzano.
Cos’è la realtà virtuale?
La realtà virtuale è un ambiente complesso, determinato da una interfaccia grafica che permette operazioni di simulazione e specifiche forme di comunicazione e di apprendimento, offrendo all’utente la possibilità di percepirsi fisicamente presente in un mondo virtuale, così da poter interagire con esso, attraverso sensazioni, emozioni, valutazioni e comportamenti tipici della realtà quotidiana.
Tra gli anni ’30 e gli anni ’40 del 1900, lo scrittore Stanley Weinbaum pubblica il racconto breve “The Pygmalion’s Spectacles”, in cui fa riferimento a visori per la realtà virtuale basati su registrazioni olografiche di esperienze in grado di stimolare il senso della vista e dell’udito, oltre che il senso del tatto e dell’olfatto. Così si comincia a parlare di realtà virtuale, che nasce dall’idea di “replicare” la realtà nel modo più accurato possibile dal punto di vista visivo, uditivo, tattile e olfattivo, permettendo al soggetto di compiere azioni nello spazio virtuale superando limiti fisici.
In questi termini, Ellis ha individuato che l’ambiente virtuale è costituito da tre diverse componenti che si integrano tra loro:
- Contenuto: riguarda la qualità di riproduzione degli oggetti virtuali che deve essere il più possibile simile a quelli reali, in modo tale che l’utente abbia la possibilità di integrarsi col contenuto, come soggetto agente;
- Geometria: fa riferimento all’estensione fisica che il programmatore informatico intende dare all’ambiente, per esempio di tipo chiuso (un edificio) o aperto (un parco);
- Dinamica: riguarda le regole di interazione fra tutti i contenuti che un progettista deve considerare nella creazione di una simulazione; infatti tutti gli oggetti contenuti nell’ambiente virtuale devono conformarsi alle normali leggi della fisica del mondo per poter essere il più possibili reali.
Quindi è possibile capire che il Sistema di realtà virtuale è costituito da una serie di strumenti in grado di ottenere informazioni sulle azioni del soggetto (strumenti di input), in modo da costruire un mondo tridimensionale dinamico, per essere restituite al soggetto attraverso strumenti di fruizione dell’informazione (strumenti di output). Cosi, in base agli strumenti di output utilizzati, è possibile distinguere tre tipi di realtà virtuale:
- Immersiva: concernente dispositivi sonori, di visualizzazione, di movimento e tattili come, ad esempio, casco 3D, guanti e tracciatori sensoriali che servono a isolare i canali percettivi del soggetto immergendolo totalmente nell’esperienza virtuale (Melacca, 2016). L’interazione è data da uno o più sensori di posizione (tracker) che rilevano i movimenti del soggetto e li trasmettono al computer, così che questo possa modificare l’immagine tridimensionale in base alla posizione e al punto di vista del soggetto stesso (Morganti, Riva, 2006);
- Semi-Immersiva: determinata da stanze fornite di dispositivi e schermi di retro-proiezione che riproducono le immagini stereoscopiche del computer e le proiettano sulle pareti, dando il cosiddetto effetto tridimensionale (Melacca, 2016);
- Non Immersiva: determinata da monitor che funge da “finestra” attraverso cui l’utente vede il mondo in 3D; l’interazione con il mondo virtuale può essere effettuata attraverso il mouse, il joystick o altre periferiche come i guanti (Melacca, 2016).
La realtà virtuale in psicologia
All’interno di un percorso di psicoterapia, la realtà virtuale può rappresentare un valido strumento di aiuto per terapeuta e paziente. Essa offre al paziente la possibilità di partecipare attivamente al riconoscimento e alla presa di coscienza delle proprie emozioni, sensazioni, pensieri e comportamenti. Così la realtà virtuale va a coincidere con l’assunto base della terapia cognitivo-comportamentale (TCC): il paziente è attivo costruttore della propria esperienza e dunque di cambiamento. In questo modo gli interventi terapeutici con la realtà virtuale mostrano molti vantaggi nonché un’ampia innovazione rispetto alle tecniche classiche di intervento:
- Lo psicoterapeuta può realizzare l’assessment col paziente, costruendo stimoli ansiosi all’interno di scenari virtuali, per poi pianificare ed effettuare programmi di desensibilizzazione, esponendo il soggetto ad ambienti virtuali protetti (Riva, 2007);
- Le varie componenti dell’ambiente virtuale vengono controllate e gestite dal terapeuta, così da consentirgli di stabilire il grado di difficoltà da presentare al paziente, in relazione alla valutazione di tempi e progressi;
- Lo svolgimento delle attività in ambienti virtuali permette al terapeuta di trattare nell’immediato il disputing sulle credenze disfunzionali, più accessibili durante l’esposizione allo stimolo piuttosto che in un colloquio classico.
Nello specifico sono stati individuati degli ambiti di applicazione particolarmente favorevoli per l’utilizzo della realtà virtuale come nel caso del trattamento riabilitativo dei Disturbi della Memoria, sia Prospettica sia di Recupero; nella pianificazione delle Attività Cognitive e delle Funzioni Esecutive della Mente, in pazienti che presentano lesioni cerebrali nella zona della corteccia prefrontale, con esercizi che stimolano la concentrazione, la fantasia e l’immaginazione; nell’apprendimento di Abilità Visuo-Spaziali; nel trattamento del Dolore Cronico che riguarda un’esperienza soggettiva emozionalmente e sensorialmente spiacevole, associata a un danno tissutale.
Infine, la realtà virtuale viene applicata anche nei casi di disturbi d’ansia e permette di desensibilizzare il paziente dalle sue ansie, abituandolo progressivamente ad emozioni che può provare a gestire attraverso un approccio differente. Inoltre, le diverse componenti dell’ambiente virtuale sono sotto il controllo del terapeuta, così da consentirgli di stabilire quale grado di difficoltà presentare al paziente. Il terapeuta, in questo modo, ricopre il ruolo di mediatore tra mondo reale e virtuale.
Conclusioni
Così gli ambienti di realtà virtuale possono essere considerati come una speciale forma di role playing. Al soggetto, infatti, viene offerta la possibilità di apprendere e sperimentare nuove strategie di adattamento, grazie all’esposizione agli stimoli negativi che gli provocano il disagio psicologico e le conseguenti alterazioni comportamentali, con l’obiettivo di alleviare la sintomatologia correlata al disturbo di cui soffre, di aumentare il livello di autostima, di autoefficacia e di sicurezza. L’individuo avrà la possibilità di confrontarsi con le situazioni temute e imparerà a gestirle secondo un programma di esposizione concordato. L’ambiente virtuale diventa così la base sicura, strutturata e controllata, dalla quale partire per esplorare, provare sentimenti, immaginare, rivivere sensazioni e pensieri che psicologicamente lo destabilizzano.
Bibliografia:
Kim, K., Kim, S. I., Cha, K. R., Park, J., Rosenthal, M. Z., Kim, J. J., et al. (2010). Development of a computer-based behavioral assessment of checking behavior in obsessive-compulsive disorder.
La Barbera, D., Sideli, L., e La Paglia, F. (2010). Schizophrenia and virtual reality: a review of clinical applications
Melacca, G. (2016). La Realtà Virtuale. Strumento per elicitare processi neurocognitivi per il trattamento in ambito riabilitativo
Riva, G. (2007). Virtual Reality and Telepresence.
Area neuropsicologia e salute mentale – Logos Famiglia e Minori
Studio Neuropsicologia e Psicoterapia Guzzino
Writer: Dottoressa Francesca Pia Laura Araneo