
Con il passare degli anni, insieme ai costumi sociali, si modificano anche i confini della legalità: condotte tradizionalmente considerate lecite, diventano illecite. Un esempio di questo cambiamento è il rapporto tra genitori e figli, con particolare riguardo ai metodi educativi.
L’ordinamento giuridico, infatti, non individua precise modalità di educazione ma si limita ad affermare che i genitori debbano «mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni[1]».
Questa apparente libertà, in passato, ha fatto sì che punizioni corporali quali le bacchettate sui dorsi delle mani, l’utilizzo della cinghia o le percosse venissero considerati mezzi di correzione lecitamente utilizzabili dai genitori, in virtù della funzione educativo-disciplinare da essi svolta.
Oggi, grazie al passaggio dalla famiglia normativa a quella affettiva, i metodi educativi violenti non sono più consentiti e hanno lasciato spazio ad un rapporto basato sul dialogo.
Viene, dunque, da chiedersi: quali sono gli strumenti che i genitori di oggi possono lecitamente utilizzare per educare i propri bambini? Lo schiaffo è lecito o viene considerato un atto di violenza?
Per rispondere a queste domande è utile partire dall’abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.).
Esso punisce coloro che, preposti alla cura o all’educazione di un soggetto – in virtù di un legame familiare, (es. genitori o nonni) o per ragioni di lavoro (es. insegnanti o baby-sitter) – eccedendo volontariamente nell’uso di mezzi correttivi o disciplinari, facciano insorgere il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente del soggetto loro sottoposto. Qualora poi, il suddetto pericolo dovesse concretizzarsi, il secondo comma prevede pene aggravate, quali la reclusione fino a otto anni.
Infine, in caso di condotte violente reiterate, il soggetto potrebbe incorrere nel reato di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p., il cui quadro sanzionatorio è stato peraltro inasprito dal Codice Rosso[2].
Nella fattispecie disciplinata dall’art. 571 c.p. ciò che viene punito è l’abuso dei mezzi di correzione: lo schiaffo in sé, configurato come episodio isolato e dato per scopi educativi, sembrerebbe quindi essere lecito.
La Cassazione, di recente, si è però pronunciata sulla questione mostrandosi contraria agli strumenti educativi tipici del modello patriarcale e alla violenza in generale. Infatti, ha ribadito che picchiare i bambini – a meno che la condotta non sia così lieve da essere trascurabile – possa integrare il reato di abuso dei mezzi di correzione e, qualora la violenza sia reiterata nel tempo, il reato di maltrattamento di minori.
La Corte, consapevole della difficoltà di stabilire a priori la liceità di uno schiaffo, nella Sentenza n. 18706 del 19 giugno 2020 ha poi chiarito in maniera perentoria che «l’uso della violenza per fini correttivi ed educativi non è mai consentito».
Ai genitori, e in particolare ai sostenitori della “sberla educativa”, si consiglia dunque di educare i propri figli evitando di ricorrere alla violenza fisica, psicologica o a qualunque altro metodo che leda la loro dignità e causare paure e insicurezze!
[1] Art. 147 c.c.
[2] l. n. 69/2019
Area legale – Logos Famiglia e Minori
Studio Legale Roberti
Writer: Dottoressa Domiziana Piazza (paralegal)